“Se si domanda a un malinconico quale ragione egli abbia per esser così, cosa gli pesa, risponderà che non lo sa, che non lo può spiegare. In questo consiste lo sconfinato orizzonte della malinconia.”
— Kierkegaard, “Aut-aut”
Antón Lamazares
Ne è passato di tempo da quel bacio, e poi il nulla.
Forse era l’ultima pioggia, forse era l’ultimo istante triste.
Eravamo l’uno accanto all’altro, non ci guardavamo neppure negli occhi, ma io sentivo il suo respiro e lui sentiva il mio respiro.
A sud, dove tramonta il sole, il giusto tempo è finito e non c’è più spazio per la paura perché questa è l’età della malinconia, perché questa è quella età in cui vedi un fiore e sorridi, ripensando chissà a chi o a cosa, a qualcosa insomma che non ha importanza. Per questo sorridi, perché adesso non ha più nessuna importanza.
Alla sera ti fermi alla finestra e guardi lontano, più lontano che puoi. Come fili di cotone sgualcito segui gli ultimi raggi di sole che si spengono dove non sai, dove non chiedi neanche, perché non preghi più, perché non speri più e ricordi a malapena quello che avresti chiesto, quello che avresti voluto per te.
Dove sei di preciso neppure lo sai, come ci sei arrivato a stento lo ricordi. I passi diventano impronte, le figure si trasformano in capricciose ombre, mutevoli solo alla luce, volubili di fronte ad ogni parola attesa, sentita a distanza, quasi come fosse un suono proveniente da un altro pianeta.
Così il sole piano piano sparisce come un pensiero scordato, come un riflesso di te dimenticato e l’oscurità si fissa nei tuoi occhi spalancati.
Non è un tempo questo, è un frattempo che ancora non conosci, è quell’età che sai che non aspetterai ancora o che non aspetterai oltre chi non può più tornare.