La teoria di Kirillov [di Fëdor Dostoevskij]

Poco importa se questo dolore
asciuga il mare e nasconde il cielo
[Sedicente]


Kevin Cummins

Kevin Cummins

Il signor Kirillov, un ingegnere costruttore dei piú insigni.
[…]
Era un uomo ancora giovane sui ventisette anni, vestito decentemente.
[…]
mentre io cerco solo le cause, per cui gli uomini non osano uccidersi; ed ecco tutto. Ed anche questo è indifferente.”
“Come non osano? Vi sono, forse, pochi suicidi?”
“Pochissimi.”
“Possibile che lo troviate?”
Non rispose, si alzò e si mise a camminare su e giú pensoso.
“Che cosa, dunque, trattiene gli uomini, secondo voi, dal suicidio?” domandai.
Mi guardò distrattamente, come se cercasse di ricordare di che cosa si parlasse.
“Io… io lo so ancora poco… due pregiudizi li trattengono, due cose; due soltanto; una molto piccola, l’altra molto grande. Ma anche la piccola è molto grande.”
“Qual è, dunque, quella piccola?”
“Il dolore.”
“Il dolore? Possibile che sia cosí importante… in questo caso?”
“È la primissima cosa. Vi sono due categorie: quelli che si uccidono o per una gran tristezza, o per la rabbia, o sono pazzi, o che so io… quelli si uccidono di colpo. Quelli pensano poco al dolore, ma si uccidono di colpo. Mentre quelli che lo fanno a mente lucida, quelli pensano molto.”
“Vi sono, forse, di quelli che lo fanno a mente lucida?”
“Moltissimi. Se non ci fosse il pregiudizio, sarebbero di piú; moltissimi; tutti.”
“Ora anche tutti?”
Non rispose.
“Ma non vi sono, forse, dei mezzi di morire senza dolore?”
“Immaginate,” si fermò davanti a me, “immaginate un masso d’una grandezza, come una gran casa; vi prende sul capo; se vi cade addosso, sulla testa, vi farà male?”
“Un masso come una casa? Certo, fa paura.”
“Non parlo della paura; vi farà male?”
“Un masso come una montagna, un milione di pud? Si intende, nessun male.”
“Ma mettetevi davvero sotto, e mentre pende, avrete molta paura che vi faccia male. Ogni primo scienziato, ogni primo dottore, tutti, tutti avrebbero molta paura. Ognuno saprebbe che non fa male, ed ognuno avrebbe paura che faccia male.”
“Bene, e l’altra causa, quella grande?”
“L’altro mondo!”
“Cioè, il castigo?”
“Questo è indifferente. L’altro mondo; solo l’altro mondo.”
“Non vi sono forse degli atei che non credono affatto nell’altro mondo?”
Di nuovo non rispose.
“Giudicate forse secondo voi stesso?”
“Ognuno non può giudicare che secondo se stesso,” disse arrossendo. “La piena libertà ci sarà allora, quando sarà indifferente vivere o non vivere. Ecco lo scopo di tutto.”
“Lo scopo? Ma allora nessuno, forse, vorrà piú vivere?”
“Nessuno,” disse risolutamente.
“L’uomo ha paura della morte, perché ama la vita, ecco come la intendo io,” osservai “e cosí ha ordinato la natura.”
“È vile, e sta qui tutto l’inganno!” scintillarono i suoi occhi. “La vita è dolore, la vita è paura, e l’uomo è infelice. Ora tutto è dolore e paura. Ora l’uomo ama la vita, perché ama il dolore e la paura. E cosí hanno fatto. La vita si concede a prezzo di dolore e di paura, e sta qui tutto l’inganno. Ora l’uomo non è ancora quell’uomo. Vi sarà l’uomo nuovo, felice e superbo. A chi sarà indifferente vivere o non vivere, quello sarà l’uomo nuovo! Chi vincerà il dolore e la paura, quello sarà Dio. Mentre l’altro Dio non vi sarà.”
“Dunque, l’altro Dio c’è pure, secondo voi?”
“Non c’è, ma c’è. Nel masso non c’è il dolore, ma nella paura del masso c’è il dolore. Dio è il dolore della paura della morte. Chi vincerà il dolore e la paura, quello diverrà Dio. Allora vi sarà la vita nuova, l’uomo nuovo, tutto sarà nuovo… Allora la storia sarà divisa in due parti: dal gorilla alla distruzione di Dio, e dalla distruzione di Dio al…”
“Al gorilla?”
“… alla trasformazione fisica dell’uomo e della terra. L’uomo sarà Dio e si trasformerà fisicamente. Ed anche il mondo si trasformerà, e le azioni si trasformeranno, e i pensieri, e tutti i sentimenti. Che cosa ne pensate voi, si trasformerà allora l’uomo fisicamente?”
“Se sarà indifferente vivere o non vivere, tutti si uccideranno, ed ecco in che cosa forse consisterà la trasformazione.”
“Questo è indifferente. Uccideranno l’inganno. Chiunque voglia la libertà essenziale, deve avere il coraggio d’uccidersi. Chi ha il coraggio d’uccidersi, ha conosciuto il segreto dell’inganno. Piú in là non c’è libertà; qui è tutto, e piú in là non c’è nulla. Chi ha il coraggio d’uccidersi, quello è Dio. Ora ognuno può fare che non ci sia piú Dio e che non ci sia piú nulla. Ma nessuno l’ha ancora mai fatto.”
“Vi sono stati milioni di suicidi.”
“Ma sempre non per questo, sempre con la paura e non per questo. Non per uccidere la paura. Chi si ucciderà soltanto per uccider la paura, quello diverrà subito Dio.”
“Non ne avrà forse il tempo,” osservai.
“Questo è indifferente,” rispose piano, con pacato orgoglio, quasi con disprezzo. “Mi dispiace che voi par che ridiate” aggiunge dopo un mezzo minuto.
“E a me riesce strano che dianzi voi foste irritabile, mentre ora siete cosí tranquillo, anche se parlate con calore.”
“Dianzi? Dianzi era da ridere,” rispose con un sorriso; “io non amo ingiuriare e non rido mai,” soggiunse tristemente.
“Sí, non le passate allegramente le vostre notti bevendo il tè.” M’alzai e presi il berretto.
“Lo credete?” sorrise con una certa meraviglia. “E perché? No io… io non so,” si confuse a un tratto, “non so come succeda agli altri, ed anch’io sento cosí che non posso fare come tutti. Ognuno pensa, e subito dopo pensa a un’altra cosa. Io non posso pensare ad altro, io penso tutta la vita alla stessa cosa. Dio mi ha tormentato tutta la vita,” concluse a un tratto con sorprendente espansione.
[…]
“Ricordo che dicevate qualcosa di Dio… perché una volta voi mi spiegavate; anzi un paio di volte. Se vi ucciderete, diverrete un dio, mi pare, non è cosí?”
“Sí, io diverrò un dio.”
Pjotr Stepanovic non sorrise nemmeno; aspettava; Kirillov lo fissò con uno sguardo sottile.
“Voi siete un intrigante e un ingannatore politico, voi mi volete portare alla filosofia e all’entusiasmo, e produrre la conciliazione per disperdere l’ira, e, quando mi sarò riconciliato, ottenere il biglietto che io ho ucciso Satov.”
Pjotr Stepanovic rispose con un’ingenuità quasi naturale.
“Be’, ammettiamo pure che io sia un simile vigliacco, ma negli ultimi momenti ciò non vi è forse indifferente, Kirillov? Be’, perché ci letichiamo, dite per favore: voi siete un uomo cosí, e io un uomo cosí, che cosa ne viene? E per giunta tutti e due…”
“Vigliacchi.”
“Sí, magari, anche vigliacchi. Perché voi sapete che son soltanto parole.”
“Per tutta la vita non ho voluto che fossero soltanto parole. Per questo appunto son vissuto, perché non volevo. Anche ora voglio, ogni giorno, che non siano parole.”
“È che ognuno cerca dove si sta meglio. Il pesce… cioè ognuno cerca delle comodità di suo genere; ed ecco tutto. Lo si sa da tempo immemorabile.”
“Delle comodità, hai detto?”
“Be’, non vale la pena di star lí a discutere sulle parole.”
“No, hai detto bene, sia pure delle comodità. Dio è indispensabile, e perciò deve esistere.”
“A meraviglia.”
“Ma io so che non c’è e non può esserci.”
“Questo è piú giusto.”
“Possibile che tu non capisca che un uomo con due simili idee non possa rimanere fra i vivi?”
“Deve forse spararsi?”
“Possibile che tu non capisca che solo per questo ci si possa uccidere? Tu non capisci che ci possa essere un uomo cosiffatto, un uomo dei vostri mille milioni, uno che non vorrà e non sopporterà.”
“Capisco solo che voi, a quanto pare, esitate. È molto male.”
“Anche Stavrogin è stato inghiottito dall’idea,” Kirillov non s’accorse dell’osservazione, camminando con aria tetra per la stanza.
“Come?” aguzzò gli orecchi Pjotr Stepanovic, “quale idea? Lui stesso vi ha detto qualche cosa?”
“No, l’ho indovinato da me: Stavrogin anche se crede, non crede di credere. Se invece non crede, non crede di non credere.”
“Be’, Stavrogin ha anche qualche cosa di piú intelligente…” borbottò arcigno Pjotr Stepanovic, seguendo con inquietudine la piega del discorso e il pallido Kirillov.
“Che il diavolo lo porti, non si sparerà,” pensava, “l’ho sempre presentito; un cavillo cerebrale e nient’altro; che robaccia il popolo!”
“Tu sei l’ultimo che sta con me: io non vorrei separarmi da te male,” disse a un tratto Kirillov.
Pjotr Stepanovic non rispose subito. “Che il diavolo lo porti, che cos’è questo ancora?” pensò di nuovo.
“Credete, Kirillov, che io non ho nulla contro di voi, personalmente, e sempre…”
“Sei un vigliacco ed una mente falsa. Ma io son come te, e mi ucciderò, e tu resterai vivo.”
“Cioè volete dire che sono cosí basso che vorrò restare in vita.”
Non aveva ancora potuto decidere, se fosse vantaggioso o no continuare in un simile momento un tal discorso, e decise “d’abbandonarsi alle circostanze”. Ma il tono di superiorità e di quell’aperto disprezzo che Kirillov aveva sempre dimostrato per lui lo aveva sempre irritato anche prima, ed ora chi sa perché ancor piú di prima. Forse, perché Kirillov, che fra un’ora doveva morire (Pjotr Stepanovic lo aveva sempre presente), gli pareva qualcosa come una specie ormai di mezzo uomo, qualcosa, a cui ormai non si poteva in nessuno modo permettere d’essere altezzoso.
“A quanto pare, vi vantate davanti a me che vi sparerete?”
“Son sempre stato meravigliato che tutti rimanessero in vita,” Kirillov non udí la sua osservazione.
“Hm! Poniamo, questa è un’idea, ma…”
“Scimmia, tu annuisci per domarmi. Taci, non capirai nulla. Se non c’è Dio, io sono un dio.”
“Ecco, io non ho mai potuto capire questo vostro punto: perché siete un dio?”
“Se Dio c’è, tutta la volontà è sua, e sottrarmi alla sua volontà io non posso. Se no, tutta la volontà è mia, e son costretto a proclamar l’arbitrio.”
“L’arbitrio? Ma perché siete costretto?”
“Perché tutta la volontà è diventata mia. Possibile che nessuno su tutto il pianeta, avendola finita con Dio e avendo posto fede nell’arbitrio, osi proclamar l’arbitrio, nel senso piú completo? È come un povero che abbia ricevuto l’eredità e si sia spaventato, e non osi avvicinarsi al sacco, stimandosi impotente a possederlo. Io voglio proclamar l’arbitrio. Sia pure da solo, ma lo farò.”
“E fatelo.”
“Io sono obbligato a uccidermi, perché il momento piú alto del mio arbitrio è uccidere me stesso.”
“Ma non siete mica il solo a uccidervi: ci son molti suicidi.”
“Con una ragione. Ma senza alcuna ragione, ma solo per l’arbitrio, sono l’unico.”
“Non s’ucciderà”, balenò di nuovo nella mente di Pjotr Stepanovic.
“Sapete,” osservò con irritazione, “io al vostro posto, per mostrar l’arbitrio, avrei ammazzato qualcun altro, e non me stesso. Potreste essere utile. Vi indicherò chi, se non vi spaventerete. Allora, magari, non sparatevi nemmeno, oggi. Possiamo metterci d’accordo.”
“Uccidere un altro sarà il momento piú basso del mio arbitrio, e in ciò sei tutto tu. Io non sono te: io voglio il momento piú alto e ucciderò me stesso.”
“C’è arrivato da sé,” brontolò rabbiosamente Pjotr Stepanovic.
“Io son tenuto a proclamar l’assenza della fede,” Kirillov camminava per la stanza. “Per me non c’è un’idea piú alta di quella che non c’è Dio. È con me la storia dell’umanità. L’uomo non ha fatto altro che inventare Dio per vivere senza uccidersi; in ciò consiste tutta la storia universale fino ad oggi. Io solo, nella storia universale, non ho voluto per la prima volta inventare Dio. Che lo sappiano una volta per sempre.”
“Non s’ucciderà,” s’inquietava Pjotr Stepanovic.
“Chi ha da saperlo?” lo aizzava. “Qui non ci siamo che io e voi; Liputin, forse?”
“Tutti han da saperlo; tutti lo sapranno. Non c’è nessun mistero che non si palesi. L’ha detto Lui.”
E con febbrile entusiasmo Kirillov additò l’immagine del Redentore, dinanzi alla quale ardeva una lampada. Pjotr Stepanovic s’arrabbiò definitivamente.
In Lui, dunque, voi credete ancora e avete acceso la lampada; non lo avete mica fatto “a buon conto”?”
Quello non rispose.
“Sapete, secondo me, voi credete, magari, anche piú di un pope.”
“In chi? In Lui? Ascolta.” Kirillov si fermò, guardando innanzi a sé con uno sguardo immobile, esaltato. “Ascolta una grande idea: c’era sulla terra un giorno, e in mezzo alla terra stavano tre croci. Uno sulla croce credeva al punto che disse all’altro: “tu sarai oggi con me in paradiso”. Il giorno finí, tutti e due morirono, andarono e non trovarono né il paradiso, né la risurrezione. Non si avverava ciò ch’era stato detto. Ascolta: quest’uomo era il piú alto su tutta la terra, costituiva ciò per cui essa doveva vivere. Tutto il pianeta, con tutto ciò ch’è sopra di esso, senza quest’uomo, non è che una pazzia. Non c’era stato né prima, né dopo di Lui uno simile a Lui, e non ci sarà mai, fino al miracolo. In ciò appunto sta il miracolo, che non c’è stato e non ci sarà mai uno simile. E se cosí è, se le leggi della natura non hanno risparmiato nemmeno questo, non hanno avuto pietà nemmeno del proprio miracolo, ma hanno costretto anche Lui a vivere in mezzo alla menzogna e a morire per la menzogna, vuol dire che tutto il pianeta è menzogna e sta sulla menzogna e su una stolta irrisione. Vuol dire che le stesse leggi del pianeta son menzogna e un vaudeville del diavolo. A che, dunque, vivere, rispondi, se sei un uomo?”
“Questa è un’altra piega della questione. Mi pare che in voi si siano mescolate due cause diverse; e ciò è assai sospetto. Ma permettete, be’, e se voi foste un dio? Se fosse finta la menzogna, e voi aveste indovinato che tutta la menzogna deriva dal fatto che c’era il Dio di prima?”
“Finalmente hai capito!” esclamò Kirillov con entusiasmo. “Vuol dire che si può capirlo, se anche uno come te ha capito! Lo capisci tu ora che tutta la salvezza per tutti è dimostrare a tutti quest’idea? Chi la dimostrerà? Io! Io non capisco: come può aver saputo l’ateo finora che non ci fosse Dio e non essersi ucciso subito? Capire che non c’è Dio e non capire nello stesso momento d’esser diventato tu stesso un dio è un’assurdità, perché se no ti uccideresti assolutamente da te. Se lo capisci, sei zar e ormai non ti ucciderai da te, ma vivrai nella gloria piú eccelsa. Ma uno, quello che lo scopre per primo, deve uccidersi assolutamente, se no chi, dunque, comincerà e dimostrerà? Io mi ucciderò assolutamente, per cominciare e dimostrare. Io non sono ancora che un dio per forza e sono infelice, poiché son costretto a proclamar l’arbitrio. Tutti sono infelici, perché tutti hanno paura di proclamar l’arbitrio. Per questo appunto l’uomo è stato finora cosí infelice e povero, perché temeva di proclamare il punto principale dell’arbitrio, e commetteva gli arbitrî di straforo; come uno scolaro. Io son terribilmente infelice, perché temo terribilmente. La paura è la maledizione dell’uomo… Ma io proclamerò l’arbitrio, sono obbligato a credere di non credere. Io comincerò, e finirò, e aprirò la porta. E salverò. Solo questo salverà tutti gli uomini e già nella seguente generazione li rigenererà fisicamente; poiché con l’aspetto fisico presente, per quanto ho pensato, l’uomo non può fare a meno di Dio in nessun modo. Per tre anni ho cercato l’attributo della mia divinità e l’ho trovato: l’attributo della mia divinità è l’Arbitrio! È tutto ciò, con cui io posso mostrare nel punto principale la rivolta e la mia nuova paurosa libertà. Poiché essa è assai paurosa. Io mi uccido per mostrare la rivolta e la mia paurosa libertà.”

F. M. Dostoevskij, I demoni

 

 


L’ultima poesia

Le Verità

Non sto pensando a niente
– mi hai detto
e non rammento più
se è un sogno o un ricordo,
una fantasia o la vita stessa.
Perdonami
se non trovo un verso
se so che vivi ovunque
se so che esisti
in tutto ciò che manca.

Sarà un sogno,
io ti guardo
tu mi guardi
e il tuo silenzio scorre
tra i tuoi pensieri
nel tuo viso, tra le tue mani.
Un sogno con piccoli elementi,
sensi e significati, vuoti
che crollano uno ad uno
leggeri, sempre più leggeri.

Non odiarmi,
se fosse stata vita
o fantasia, fa lo stesso.
Odio o amore che sia
tutto gira intorno
a vecchi fiori stanchi
posti su una finestra
senza luce
e solo un lontano barlume
si scorge in questa casa.

Sarà un ricordo,
non c’è altro che avanza al buio
così pieno di nostalgia
così leggero
sempre più leggero
come un gingillo
che risuona in ogni cosa
che va, viene e torna
come l’ultima bugia
come l’ultima poesia.


Something About Me

Lascia che mi presenti. Io sono… eccetera eccetera. Adesso sai di me più di quanto io non sappia di te.
[da “Monumento” di Mark Strand]

about

Devo averlo visto più come un compito che come un piacere, per questo fino ad oggi non mi sono voluta impegnare a scrivere qualcosa su di me. Ho aperto il Blog a Dicembre del 2013 e certo che di tempo ne è passato.
In tanti poi hanno cominciato a chiedermi di scrivere qualcosa su di me e da qui il dubbio è sorto nella mia testa più che nel mio cuore.
Ho cominciato infatti a ragionare sul perché della richiesta e sui motivi dell’esistenza dell’about me in quasi tutti i blog da me visitati.
È un modo per farsi conoscere, ho pensato. Perché la gente, le persone, vogliono sapere chi c’è dietro un racconto, chi c’è dietro una poesia, chi c’è dietro un articolo o una recensione.
Forse è una questione di correttezza o di onestà o forse è solo un modo per completare il nostro processo di lettura, per immaginare e figurarsi chi sta alle spalle della parola e come questi potrebbe essere fisicamente e/o moralmente.
D’altronde ogni volta che leggo un libro, bene o male, so come è fatto l’autore, anzi spesso conosco prima lui e poi ciò che scrive, perché adesso è così che corre la cultura.
Però poi, ho ricordato me al liceo e a come mi immaginavo fossero fatti Catullo, Omero, Eschilo, Saffo, per citare i più alti e conosciuti. Ma anche qui, nonostante ciò, pongo un freno al mio pensiero.
Io non sono una scrittrice, non sono un’artista, o almeno non credo di esserlo.
Io sono più una Giulia Balbilla, che nessuno conosce, nessuno sa chi sia o come era fisicamente, eppure milioni e milioni di persone, per generazioni e generazioni, hanno letto i suoi epigrammi incisi sulle gambe del “Colosso di Memnone”, a Tebe d’Egitto. In egual misura vanno lì in viaggio, leggono e non capiscono, qualcuno traduce per loro una splendida poesia e uno su un milione si chiede chi veramente fosse stata Giulia Balbilla.
Io vivo una vita più o meno normale, ho bisogno di lavorare per vivere e per socializzare, per confrontarmi e scontrarmi, ho bisogno di andare ogni tanto al cinema, di mangiare, di guardare le stelle alla sera, di fumare per vizio, di dormire e sognare, di bere due caffè ogni due ore, di curare le mie piante, di ascoltare i Pink floyd almeno una volta al mese, di parlare con i miei genitori e sapere come stanno. Ho bisogno di fare l’amore, di fissare qualcuno negli occhi e ascoltare la sua voce. Ho bisogno di recitare e raccontare delle storie, di guidare per evadere e per andare a prendere il pane, ho bisogno di camminare, mai di correre. Ho bisogno di leggere e immaginare, viaggiare…
E ho bisogno di scrivere…
Eggià, ho “bisogno” di scrivere.
Sembra quasi una confessione adesso e forse un po’ lo è.
Non voglio entrare nei meandri dell’arte e di cosa lo sia perché per me scrivere è come dare una carezza a qualcuno, è come scambiare un sorriso.
La mia parola è la mia onestà, sia che essa sia veritiera, sia che essa sia fantastica.
Credo adesso che basti questo per capire che spesso “oltre” io non voglio andare.
Il mio nome qui è Sedicente, e possiedo sogni e ragione…
…così come ognuno di voi.

Grazie.