Da qualche parte nel mondo

Untitled – Clyfford Still

 

Da qualche parte nel mondo
sta nevicando, ma non qui.
Qui ogni cosa è ferita dal sole
che fa compagnia ad ogni pensiero,
qui ogni giorno è una fatica
o un richiamo alla stanchezza.
Qui la noia la trovi ad ogni bivio
come un desiderio di morire
che ogni giorno vivendo
ti trascina con sé su di un filo sottile.

Non so proprio che dirti,
non posso dirti quanto ti voglio
ma so che c’è tanta e tanta strada
tra la realtà e il pensiero
e ancor di più
tra il mio sogno e il tuo.

Le stelle non parlano più tra loro
e il cielo ogni notte è sempre più buio,
ma io m’innamoro ancora di te
pur anche adesso che sei per me
solo un sogno che non ricordo
e la mia mente tenta di afferrarti
nel silenzio universale
dello sguardo più sincero del mattino
delatore di quest’unica verità
dove ciò che è stato
non accadrà mai più.


 


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Il discorso del CEO

Black Relationship

Black Relationship – Vasilij Vasil’evič Kandinskij

La prima volta che lo vidi mi sembrò del tutto insignificante. Né troppo alto, né troppo basso, né troppo grasso né troppo magro, indossava un maglione nero da cui era difficile intravedere la sua forma umana e dei pantaloni più larghi di due taglie rispetto alle sue misure. Di certo per lui mostrarsi non doveva essere semplice, dai suoi scarponi nuovi si capiva che non amava particolarmente neppure camminare.
Un uomo sedentario, pensai, a cui qualcosa era andato storto. Era la totalità del suo aspetto che infatti stonava con qualcosa che ancora non riuscivo bene a focalizzare.
Quella prima volta si accostò al mio tavolo, in un ristorante in cui mi trovavo per una cena di lavoro e si presentò come “Leo Qualcosa”, anticipando il suo titolo di CEO dell’Azienda produttrice di Tal dei Tali e dimostrandomi così che il suo abito non  faceva il ruolo. Si sedette infatti a capotavola.
Mi ricordai in quell’instante che quando da bambina pranzavo a casa dei miei nonni, io insistevo sempre per sedermi a capotavola però mio nonno mi diceva sempre che coloro che siedono a capotavola hanno lavorato per arrivarci e lavorano sempre di più per restarci.
Lui lo fece in modo umile, come fosse la cena di casa, rimase con il capo chino e si versò da bere dell’acqua. Da ciò pensai subito che doveva essere un uomo innocuo da cui però era meglio mantenere una certa distanza. Poi iniziò a parlare.

Signori, disse, si inizia sempre da uno spazio bianco. Non dev’essere necessariamente un quadro o un libro. Noi diciamo bianco perché abbiamo bisogno di una parola, ma la definizione corretta è «niente» perché mentre il nero assorbe la luce, il bianco è l’assenza del ricordo, è il colore del nulla.
Come ricordiamo? È una domanda che mi sono posto spesso, perdendo lo sguardo nell’assenza del ricordo, ricordando magari anche amici oggi assenti. Certe volte ad esempio penso all’orizzonte. Bisogna fissare un orizzonte perché si deve segnare lì dove cade l’assenza del ricordo.
Un atto abbastanza semplice, direte, ma ogni atto che rinnova il mondo intorno a noi o per noi, è un atto eroico. Così sono giunto a concludere che di certo non sappiamo quali saranno i giorni che cambieranno la nostra vita e forse probabilmente è meglio così.

Lo guardammo tutti stupiti. Seguire le sue parole era del tutto naturale, sembrava infatti impossibile che qualcosa o qualcuno potesse distrarci, era una sorta di calamita. Eppure sembrava più un castigo che un premio e proprio il silenzio che mi circondava indicava chiaramente che certe volte la gente mente tacendo.
Così mi alzai e tutti si girarono guardandomi quasi con rimprovero, come se degli adulti possano rimproverare altri adulti. Lui alzò lo sguardo su di me e sorridendo mi chiese: “se ne va?”
“Si” risposi, “perché la vita di ciascuno, intendo quella vera, non la semplice esistenza fisica, comincia e finisce in momenti diversi e la mia è iniziata adesso e vorrei che durasse almeno un po’ più in là dell’ora di cena”.

Lui sorrise con aria comprensiva, anzi molto più che comprensiva. Era infatti uno di quei sorrisi rari, dotati di un infinito incoraggiamento, che si incontrano due o tre volte nella vita.
Io presi il cappotto, infilai il mio berretto e uscì fuori.
Se sono matta per me va benissimo, pensai tra me e me. Anzi, ero sicura  che quella gente pensava che fossi del tutto matta e, per qualche secondo, persino io l’avevo pensato. Ma adesso, benché continuassi a comportarmi in maniera un po’ stramba, mi sentivo piena di fiducia, allegra, lucida e forte.
Mi sedetti su l’ultimo squarcio di sole, su una panchina, e guardai le terre a Oriente dove un tempo c’era il mare ed adesso invece giacevano, quasi inerti, uno di fianco all’altro, dei grandi campi di grano verde e in fondo, al di là della pianura, si intravedevano infinite catene di montagne e, catena dopo catena, l’azzurro di un cielo sempre più pallido si chiudeva a nord e a sud.
Sembrava che tutto fosse immobile, in assenza del ricordo e in attesa di un sogno.



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