Finché non ti trovi lì, con il costruttore che ti guarda stupito e perennemente “appanzato” (“come stai? come va?”, “sugnu appanzato”), il pittore che pende dalle tue labbra come fossi la sua musa inspiratrice, la commessa del mobilificio, baffona e sorniona, che aspetta il tuo responso. Non hai mai fatto caso a tutti quei dettagli: se la maniglia sulla porta deve essere nera, grigia, dorata, bianca, argentata; se il faretto lo vuoi in metallo satinato o lucido, con luce fredda o calda; e quanti milioni di sfumature diverse ha il marrone delle porte: bruciato (in che senso?), tortora, bruno, testa di moro…non sospettavi esistessero decine di cataloghi di tavoli che a te sembrano tutti uguali, ma che invece differiscono per l’angolo con cui si innesta la gamba sul piano; non avresti mai e poi mai pensato che quando dici: “Ecco, io la parete la vorrei bianca…” Il pittore “tutto fare” (“iu fazzu tuttu”), tirasse fuori una mazzetta di campioni per capire se parliamo di bianco gesso, bianco muro, bianco panna, bianco sporco, bianco lucido, bianco latte, bianco opaco.
Dinnanzi a te viene squadernata un’infinita gamma di possibilità, contenuta in cataloghi dalle fotografie manierate di ambienti ibridi come la tua immaginazione e tu ti trovi lì, in preda al panico che ti assale, con la vertigine del tutto, per decidere colore e forma dello zoccoletto della cucina, che poi si abbina al pavimento, che si abbina al muro, in contrasto col tetto, vicino alle finestre che si riflettono sulla casa del vicino, che a sua volta si specchia sulle vetrate della chiesa in piazza (centrale). L’ansia della scelta che si unisce anche ad un po’ di latente vergogna, perché ti senti stupida a stare lì per mezz’ora a guardare colori di mattonelle quasi identiche, sindacando quale mai si accordi meglio con il colore della porta o di un infisso o al tavolo di nonna, la quale nella sua vita già probabilmente s’era ritenuta una gran signora a potersene comprare uno, di tavolo, e si metterebbe a ridere come una pazza nel vedere te che smadonni per abbinarlo ad una venatura del pavimento.
Nonostante tutto stai lì, e li consideri ora uno ad uno, i dettagli, quei stramaledetti dettagli che prima hai sempre giudicato ininfluenti e bollato come ridicole fisime da snob perditempo, perché ti rendi conto che poi sono proprio quei dettagli minimi che fanno le differenze, rendono un oggetto più bello, te lo fanno sentire tuo. Solo per questo perdi la ragione che solo un attimo prima eri convinta di possedere.
Ti arrendi…allora, e dopo aver esplorato le infinite possibilità del tutto decidi che sì forse non è il bianco gesso, è il bianco muro quello che fa per te (d’altronde è solo un muro da dipingere), anche se in fondo in fondo sai che ti resterà sempre il dubbio che siano uguali.