Sale e scende

Kazuo Shiraga 25 / 48 – Goshiki Sanmai (1976)

Sale e scende

come chicchi di sale in frantumi nell’acqua bollente

a un passo tra anima e corpo

tra mondo e mondo.

È un turbine cocente

che da un‘immagine a un’altra brucia

senza sosta

fino al silenzio.

Nessuno sa quanta è viva la morte.

L’ultimo silenzio

Laszlo Moholy-Nagy 51 / 70

Pensavamo che il percorso fosse lungo
e dritto dinanzi a noi
non sapevamo quante volte
saremmo tornati indietro
lì, in quel punto
all’incrocio di quattro canti,
l’incontro di quattro anime
in rosa.

Erano sere d’estate
quando il caldo brucia anche la notte
danzavamo
immersi nei nostri calici,
nessuna solitudine bastava
nulla ci conteneva
avanzavano dritto dinanzi a noi
con un occhio a est e le speranze a ovest.

Di tanto in tanto riposavamo
sui gradini di una chiesa
calpestati dai pianti della storia
bruciando da soli, nel ricordo di voci mai nate,
ci accucciavamo con un’unica coperta
nascondendo al di sotto tutti i rimpianti.
Restava solo il sentore dell’umido
che cancellava ogni piccolo verso.

Senza saperlo,
seguivamo un senso unico
svelando tutti i segreti del tempo
lungo le strade deserte
stringevamo per mano
tutte le stelle.
Parlavamo e parlavamo,
senza saperlo, era l’ultimo silenzio.

Il nostro mondo brucia

Questa era la vita:
un tocco, un sorriso, una parola
piccole gioie, decisioni solide
e progetti fedeli.

La realtà era reale:
una cosa era la pioggia
una cosa erano le lacrime,
c’era una goccia per ogni cosa.

E nella mia vita deve esserci
stata vita un tempo, magari
sotto la luce del sole
o dentro un bicchiere di vino.

Eppure, nel ricordo forse,
un certo discorso è rimasto in sospeso:
un epilogo mutilato
dalle nostre stesse mani.

Pioggia e lacrime si sono confuse
risate e dolore si sono congiunte
formiche nere, rosse e bianche
si sono scontrate.

Parole sole, mai pronunciate
sono rimaste sospese
abbandonate sotto la lingua.
Ormai è troppo tardi.

È tardi
nessuna speranza si può salvare,
tra due stelle
il nostro mondo brucia.

Immagini insensate

Tra tante ambigue verità
seguo solo la mia ombra
come ogni ultima cosa
la osservo muoversi nel vuoto.

Non so quando
non so dove
ho perso l’amore,
forse tra tante parole
o nel silenzio
di una bara schiusa.
Non cerco un senso
non penso
non oso neppure immaginare
che ci sia un limite
in questa mia
storia di ritorno.

Anche la pioggia ha cambiato colore
e odore,
è il colore dei ricordi:
solo immagini insensate.

Il deserto dei tartari [di Dino Buzzati]

“Si vive la vita troppo spesso aspettando che capiti qualcosa di speciale che le dia un senso, gli anni della giovinezza fuggono così nella speranza di dare concretezza ai sogni. Il deserto diventa metafora del futuro, la fortezza il luogo del nostro essere soli, in una terra di mezzo, tra il nostro passato emotivo e sentimentale, che ci lega indissolubilmente alle nostre radici, ai luoghi cari, agli affetti, e il futuro sconosciuto che ci ammalia e ci spaventa, in attesa di un evento decisivo che il più delle volte non arriva mai. E in questa attesa non ci accorgiamo che la vita sta scorrendo, prigioniera di gesti sempre uguali, priva di slanci e di emozioni, in una sequenza di giorni identici, ma è tale l’abitudine, tale la sua schiavitù che nonostante la possibilità di fuggire restiamo inchiodati alle nostre vituperate abitudini ma senza le quali non riusciamo più a immaginare il nostro esistere. E non sappiamo invertire la rotta perché provandoci ci ritroviamo soli, perché nessuno ha aspettato i nostri comodi, gli altri nel frattempo hanno fatto altre scelte, più concrete, forse più semplici, meno eroiche, ma hanno raggiunto la meta senza grosse aspettative, “sanza infamia e sanza lode”. Così la nostra prigione, sebbene sia una prigione, diventa il solo luogo dove riusciamo a stare bene a sentirci al sicuro, perché nulla dobbiamo rischiare, non dobbiamo metterci in gioco, non dobbiamo mutare nulla, solo sperare. Alla fine arriva il momento in cui realizziamo, dall’oggi al domani, che siamo diventati vecchi; e succede che ce ne accorgiamo per un motivo banale, come ad esempio il non voler salire più le scale due per volta, come abbiamo sempre fatto, e che pur avendone ancora la forza e il vigore non lo facciamo più semplicemente perché non ne abbiamo più la voglia, perché il cuore di colpo ha allentato il suo timbro ritmico. Ecco, quel giorno esatto e quel momento preciso sono i punti di non ritorno. E allora verrà la nera signora e ci siedera’ accanto, dovremo mettere le carte in tavola e conferire con lei, che ci chiederà contezza del nostro tempo, di come l’abbiamo speso, e con lei non ci basteranno parole, lei non potrà aspettare le nostre scuse, i nostri tempi lenti. Andrà subito al sodo, e sarà la fine.”

Apocalisse

The Scream – Edvard Munch



Nella mia mente, tra mille fiori
ho trovato tanti clamori:
sono tutte le voci
rimaste fedeli al mio cuore.
Un po’ me ne vergogno,
ma non più di tanto.
Sento che sono viva e forse
il meglio deve ancora venire,
ad esempio, so che devo vestire la mia anima.
Sono in cerca di nuovi colori
che abbiano almeno un lieve profumo di rosa;
so che manca poco: una fogliolina forse
o quel berretto rosso che tanto ho cercato.
Ho navigato in un mare di miele aspro
cercando l’Itaca perduta.
Non c’è mai stata indifferenza
per niente e per nessuno, mai.
Un lungo viaggio mi ha portata qui,
in questa via tortuosa sotto il vulcano
con un rosso lava che brucia solo gli occhi.
Così il mio cuore è pieno di boati,
botti, rimbombi e tuoni
in questo spazio un po’ guercio e po’ beffardo
che è la mia casa.
Chissà se era così che doveva andare,
chissà se troveranno scritto
da qualche parte il mio cuore
o le vesti briganti del mio amore.
Questo è ciò che lascio:
un urlo altissimo
nella terra arida della gioia avvenire.
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Giovinezza

Head of a man – Picasso (1908)




Ricordo sempre quel sorriso
incastrato tra il sonno e il risveglio
parlava e splendeva lucente
lungo la strada della giovinezza.

Come siepe fresca
all’ombra
eri giovane e non lo sapevi,
eri ignaro di ogni sventura.

Non è malinconia,
eri buono e delicato
seduto in cucina, appoggiavi un gomito
e segnavi il solco di una sola lacrima.

C’era troppo miele nel tuo bicchiere
e il tormento di tutto l’universo
si è portato via tutto
seppellendo il tuo cuore in mille dettagli.

Contavi i giorni in anni
marciando verso quel che restava
di una nuova età
in un destino immaginario.

Ti guardi adesso
e lo specchio è vuoto,
piano piano ti allontani
e cerchi un senso, solo, tra le nuvole.

Io, spero di rivederlo un giorno
quel tuo sorriso
fiorente come l’alba di un nuovo mondo
preso in prestito dalla gioia.



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Immobile

Abbott Handerson Thayer 69 / 92 Copperhead Snake on Dead Leaves (1915)

Immobile
sosto nel mio essere
isolata in un cerchio stretto
tra un carico di briscola
e un lungo arrocco
guardo le rondini
volare da lì a qui, da qui a lì.
Non ho pianto per questi morti
ma la mia voce non riesce a tacere
la ferita è più d’una
per individui distinti
colpiti
con l’inganno nel vento
da un invisibile vuoto.
Forse è arrivato il momento
di non vedere
dopo il silenzio è tornato l’affanno
per altri forse, ma non per me
che se vedo, guardo
e non c’è conforto alla tristezza
con solo il cielo negli occhi
rimango ferma nel giorno.
Non c’è altro tempo
che possa passare
nulla potrà riprendere quei passi
perché sono morti,
incredibilmente morti.

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Così, tra pietra e pietra [di Luis Sepulveda]

“Così, tra pietra e pietra
seppi che sommare è unire
e che sottrarre ci lascia
soli e vuoti.

Che i colori riflettono
l’ingenua volontà dell’occhio.

Che i solfeggi e i sol
implorano la fame dell’udito.

Che le strade e la polvere
sono la ragione dei passi.

Che la strada più breve
fra due punti
è il cerchio che li unisce
in un abbraccio sorpreso.

Che due più due
può essere un brano di Vivaldi.

Che i geni amabili
abitano le bottiglie del buon vino.

Con tutto questo già appreso
tornai a disfare l’eco del tuo addio
e al suo posto palpitante a scrivere
La Più Bella Storia d’Amore
ma, come dice l’adagio
non si finisce mai
di imparare e di dubitare.

E così, ancora una volta
tanto facilmente come nasce una rosa
o si morde la coda una stella fugace,
seppi che la mia opera era stata scritta
perché La Più Bella Storia d’Amore
è possibile solo nella serena
e inquietante calligrafia dei tuoi occhi.”

Luis Sepulveda

Inno all’amore (e alla solidarietà) – di Emily Dickinson

Vincent van Gogh – Backyards of Old Houses in Antwerp in the Snow (1885)

Se io potrò impedire
ad un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano.
Se allevierò il dolore di una vita
o allevierò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano!
L’oggi è lontano dall’infanzia
ma su e giù per le colline
tengo più stretta la sua mano
che accorcia tutte le distanze!
I piedi di chi cammina verso casa
vanno con sandali più leggeri!

#iorestoacasa

Passione d’inverno

Hana Sasaki – book cover
http://yukoart.com

Avresti potuto colpirmi
da entrambi i lati
con quel sorriso che sa di libertà
ero il tuo bersaglio
con occhi e mani tremanti
ma quanta pena per una sola idea
quanto peso per un solo sogno
è l’angoscia che divora
in ordine
prima il cuore, poi l’anima
impotente allora
ingoia le tue forze
affronta il tuo silenzio
congela il tuo sangue
e torna da dove sei venuto.

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Amico mio

7–7–N – Robert Goodnough

Amico mio,
questi sono giorni tristi e immobili
in questi o forse in altri
le montagne dormono soavi
e neppure una nuvola osa passare
per questo cielo terso
fatto solo di vento.
È una falsa primavera questa
e quel che è vero, invece
è che noi non pensavamo alla morte
il nostro mondo ogni giorno finiva al tramonto
e soli, e sottili come la carta
volavamo invisibili al vento.
Mi tenevi sempre un posto al mattino
accanto a te,
condividevamo la stessa musica:
un auricolare io ed uno tu,
senti qui, ti dicevo
tu ascoltavi e sorridevi
e ad ogni pausa
eravamo desiderosi di caffè, fumo e sorrisi.
Credevamo di conoscere il dolore
ma anche quello era finto,
non credevi alle mie storie
ma ti piacevano tanto
e ogni tanto mi chiamavi Barabba
altre volte Caratterino (mi abbracciavi)
invece adesso, non solo mento
ma neppure una nuvola riesco a spezzare.
Mi hai seguito per tutto questo tempo morto
come un’ape ronza intorno a un fiore
mi hai chiesto di vederti
ma il mio polline è incantato,
non ascoltiamo più la stessa musica.
Perdonami
ho sottovalutato tutto
ho indossato la mia maschera preferita
e in silenzio sono andata avanti.

Amico mio,
tu lo sapevi
– lo sapevi
mi scrivevi, mi chiamavi
e sorridevi ad ogni mia fuga.
Era un’intimità ceduta, mai tradita
così sono fuggita
sulla via del ricordo
e di nuovo, mi chiamavi Barabba
e poi di nuovo Caratterino (non mi abbracci più).
Forse più in là, ti dicevo
fermarsi, voltarsi non ha senso
e invece adesso sei dove non dovresti
e ancora
e ancora ci guardiamo
mentre tento di restare calma
provo a non piangere
tu prendi la mia mano
mi dici che a parole sono brava
e forse un giorno troverò chi mi sa rispondere.
Non c’è nessun inganno di fronte alla morte
solo sincerità, un’amara verità,
come vuoi che non pianga?
Adesso piango per questo ricordo
ed altri
che mi offuscano la mente.
Per ogni mia parola, per ogni mia poesia
scrivevi “è da te”
come se da me ci si dovesse aspettare qualcosa,
niente invece. Niente.
E adesso anche da te,
niente, proprio niente.
Era un mondo diverso quello
in questo mi hai tradito tu
mi hai lasciato tu
e fatico a scrivere
come fatico a parlare
provo a fumare di nuovo con te,
sento solo il silenzio
non vedo il perdono
e di fronte alla tua lapide
questa assenza, sola
non riesco a lasciarla andare.

 

Adam Torres – Green Mountain Road

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Inno alla Gioia [di Seidicente]

Joaquin Torres Garcia – Objet Plastique Planos de color con dos maderas superpuestas (1928)

È bastato
un istante di luce spenta
celato sul lato nascosto di una foglia
sopra la terra verso il cielo
un’ombra morta che insegue la luce del sole.
Così si è svegliata la mia anima, divisa
tra il bene e il male,
tra una voglia e un rifiuto
vagamente ritrovata
nelle vane parole di un tempo.
Eppure era solo per la gioia,
ma forse nulla davvero andava detto
così anche l’occhio è tornato a guardare,
a cercare;
ho respirato di nuovo il profumo di rose
– forse speravo di crescere
di crescere ancora, e invece
ho bloccato l’amore
e sono rimasta qui.

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Aiutami a non chiedere aiuto

Kandinsdingsda – Sigmar Polke

Ti guardo
mentre lentamente sfogli il tuo libro
è un testo di misura, in lingua inglese,
cerco di guardarti dentro
scavo in fondo al tuo silenzio
e sento il vuoto del mio corpo
come lo sentivo da bambina.

Ti sfiori il viso con una mano,
è un gesto
che di sicuro merita un perdono
mentre il mio cuore batte
e combatte,
spera e non trova pace
affamato va a caccia di vecchi fantasmi.

Sei solo un’illusione
– pura allucinazione della mia memoria
precipitata questa notte
nel grande buco selvaggio.
Ho il corpo inchiodato alla sedia
mentre soffoco
nel limpido cielo dei tuoi occhi.

È il piacere che uccide
che mi ha fatto rinascere all’improvviso
non importa che non ti veda
o che non ti abbia
sono una fiamma inquieta
e sembra sempre
che tutto accada per la prima volta.

La prima volta
tra le lenzuola umide
di una casa abbandonata
con la voce del vento tra gli alberi
a tenerci compagnia
in quell’oscuro profumo
carico di solo peccato.

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Où es Tu?

E quelli che leggono ciò che scrive,
nel dolore letto ben sentono,
non i due che egli ha avuto,
ma solo quello che loro non hanno.
[da Il mondo che non vedo di Fernando Pessoa]

Joan Miro – Drawing-Collage with a Hat

So che non inseguo mai ciò che voglio
intorno a me, nell’oscuro silenzio,
inutilmente ricompongo
quel che mai sarà.

Où es Tu?

Non so, ti ho perso
nel mondo reale che oggi
reale non è,
disperso nello spazio immaginario
nel tempo immutato
con gli occhi rossi
colmi di lacrime al vento.

Ancora cerco la mia vita
lì, nei sogni che sognai
penso alla fine
che inutilmente amai.

Où es Tu?

È finito il tempo della pallida neve.
Si è concluso il tuo viaggio?
Sei approdato all’oltre-mondo?
Dove il mare è più profondo
lì, ti vedo
nell’etereo della mia anima che spera
di trovare quello che mai ha inseguito.

Prima ancora che inizi

Friedensreich Hundertwasser – 626 The Way to You

***

Prima ancora che inizi
siamo prossimi alla fine
alla ricerca di miserabili piaceri
in un tempo colmo di nebbia
affoghiamo in un calice di tristezza
senza sapere quando
se non a maggio forse a settembre.

No grazie, prediligo il vuoto
in somma solitudine
scelgo di non cibarmi
e chiudere gli occhi
magari forse per sempre.

Curvi al vento
accompagniamo la direzione delle canne
rincorriamo la luna sui canali
e sul mio viso scorgo
nuovi solchi chiari verso un fuoco
che senza un senso
arde contro deliranti scintille.

Non hai capito,
questo pane non si spezza
e per favore non tornare
sotto la terra non c’è più fuoco
ma solo sangue dentro al sale.


Neil Young – Out on the Weekend

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Etna

Joseph Wright – A View of Mount Etna and A Nearby Town (1775)

***

Sulle rovine del sole
in un luogo misterioso
sale dal suolo
il respiro del mondo
è un vapore naturale
che ha il sapore del mare
dagli antri ammuffiti
di un’antica umidità
che non concede riparo
senonché alla deriva del monte
per vedere, capire
e poi sparire.

***

 

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Eclissi

Hiroshige – Wind Blown Grass Across the Moon

Non torno indietro
non ho più il passo sicuro
ho superato il senso compiuto
bisbigliando sciocchezze
al soffio del vento,
vado avanti per galanteria
lasciando spazio all’oblio
e ritirando la mia memoria,
a stento osservo questa luna mozzata
divorata dalla fame ancestrale
dell’universo
che pena mi fa, diversi tra terra e cielo
nel suo giardino segreto
ad un solo respiro
lontano da me.

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Fin qui tutto bene

Serge Najjar

***

Potremmo cominciare da lì, da quel momento in cui mi hai chiesto di spogliarmi.
“Per favore”, mi hai detto, “spogliati” e poi mi hai chiesto del tuo amico.
Non si trattava di me, ma dei tuoi tempi passati e della tua voglia di mantenerli vivi.
“Sai, io ho un sogno” eri fermo e immobile. Fissavi assente il mio orologio posto sul comodino la sera prima, “però forse, c’è qualcosa di reale. Qualcosa, che potremmo trovare insieme.”
“Non credi sia tardi?”, azzardai.
Era un rischio che dovevo prendere, altrimenti sarei rimasta chiusa in quella stanza, nuda, per chissà quanto tempo. Difatti si prese il suo tempo e io piano piano mi infilai sotto il lenzuolo e iniziai a sonnecchiare, vagando al di là del paradiso.
Quando mi svegliai la stanza era vuota, dalla finestra non filtrava alcuna luce. Cercai l’orologio sul comodino, ma non lo trovai e ne cercai il senso: in questa tua inchiesta insensata non capivo a cosa ti servisse il mio orologio. Uscii dalla stanza con la “speranza” di trovarti, pensavo fossi a casa e ti chiamai, ma niente, nessuna risposta, ti cercai, ma niente, non ti trovai.
Mi affacciai alla finestra: la pallida luce di un vecchio sole cereo era morta proprio sulla nostra strada, aprendo la via a vecchi lampioni di strada, nulla era più come prima. Traspariva solo una certa tendenza alla delusione. Mi infilai una tua maglietta ed aspettai il tuo rientro.
Il tempo passava così lentamente da riuscire ad animare gli oggetti della stanza. Uno ad uno, tangibili in ogni mossa, seguivano la mia concentrazione; così cercai qualcosa da bere. Pensai di ubriacarmi. Se avessi trovato la tua vodka avrei represso forse le mie voglie ed ogni impulso si sarebbe placato, poi magari anche un po’ di musica mi avrebbe aiutato, grazie a quell’indefinibile splendore che porta sempre con sé.
Con te invece avevo avuto un abbaglio. Capita, mi dissi, era stato come saltare nel vento.
Mi infilai le tue calze e bevvi il primo bicchiere. Potremmo continuare così per anni, pensai: tu sospiri, io sorrido. Tutta quella confusione aveva ingannato anche me e chissà da quanto tempo aveva trasportato te in tutta quella melma di paranoie interiori. Credo che ad un certo punto tu l’abbia capito: non c’è nessuna confusione in una mente semplice come la mia.
Guardai di nuovo fuori dalla finestra, fino a dove giungeva la strada, ma vidi solo una fila di macchine ferme al semaforo ad attendere il verde. Mi girai e mi fissai a guardare nel vuoto per rivederti vivo: qualche sera con gli amici, le passeggiate al mare, le domeniche in bici, ogni sera insieme sotto la doccia e tu che ti butti sul letto ed inizi a toccarmi e baciarmi. Adesso penso che c’era tutta la vita in quei baci. La tua vita, ad esser precisi, che ridevi e godevi fino allo sfinimento.
Esaminai nuovamente la strada, ma di te neppure l’ombra. Bevvi un altro bicchiere della tua vodka. Era la tua preferita e mi ricordai di quando te la regalai. Eri felice come un bambino solo per il fatto che avevo scoperto quale fosse la tua vodka preferita. Eppure dietro la bottiglia non c’era nient’altro, chissà tu cosa cercavi. Fissai nuovamente la tua bottiglia e lì ti vidi riflesso, eri triste e nella tua tristezza si stava consumando la mia vita, i miei giorni passavano tra i tuoi sospiri. Eppure ti ho regalato quel che volevi: un po’ di vodka e un po’ di inganno.
Tutto adesso sapeva di addio e come ogni nostalgia d’amore che si rispetti, non rimaneva che quella insana voglia d’essere voluti, bramati, amati da qualcuno o da qualsivoglia desiderio.
Donai un po’ d’acqua alle due piantine che tenevi sul davanzale in cucina. Visto che di te non riuscivo a prendermi cura, mi prendevo cura della tua casa. Chissà perché tu immaginavi un nesso complesso aggirarsi nei miei pensieri e forse da qui la tua delusione e poi il dolore, un insopportabile dolore che viene e va, e lì ti sei perso, e da allora non ti ho più ritrovato.
Misi i miei jeans, sistemai la mia roba, man mano pensavo e perdevo del tempo. È lì che mi dirigevo, lungo la strada del tempo. Del mio tempo.
Tuttavia, avrei dovuto dirtelo o lasciartelo scritto, che c’è sempre qualcosa che resta e che geme: per me è stato quest’ultimo giorno di attesa tra quelle pareti monotone, per te invece forse sarà stato il mio eterno silenzio al di là di maschere e miti.
Andai via e fin qui tutto bene.

***

Life Support – Daniel Blumberg