E arriva la notte, che è solo l’altra forma del giorno.
Che è solo l’altra forma della notte.
(M.C. Escher)
Scrivevo quasi ogni giorno delle piccole lettere in tanti piccoli fogliettini e vivevo in quelle parole. Tutto il resto, tutte le mie occupazioni giornaliere non erano che fatti futili e banali come fermate di uno squallido autobus programmate sul calendario del Comune. Tutto ciò che osservavo, vedevo, sentivo sembrava avere un’aria apatica e fiacca, quasi che tutto fosse uscito da un teatro di marionette.
Quando scrivevo sentivo in me qualcosa di esclusivo, il mio era un mondo privato che mi distingueva da quel nulla comune che scorgevo ovunque. Vivevo così, come in un’isola segreta piena di colori splendidi e meravigliosi e dalle mie parole emergeva il torpore del giorno che mi opprimeva.
Mi tornava spesso in mente il pesante ferro da stiro di mia nonna, che a fatica spingeva sul tavolo della cucina. Su quel tavolo riponeva un telo e sopra il telo un altro telo, e un altro ancora. Sospirava, mi guardava con occhi tristi, arrossati dal pianto, e sorrideva, quasi per scusarsi. Inutile a dirsi che ero lontana anni luce da lei e da quel tempo infantile, così come ero lontana dal valore quotidiano di ogni cosa.
Quando vivi da sola (non per forza da sola) trovi quei rimedi che ti aiutano ad oltrepassare il tempo, sorvolando sulla luce del sole. Poi viene la sera, gradualmente ti si pone dinnanzi il tuo mondo, il tuo magnifico e fantastico mondo.
Dici di essere stanca, è solo che il corpo è tornato da te, lì dove deve stare, e comincia a riflettere e tu avverti il pensiero di ogni tuo piccolo muscolo. Tutto in te prende vita e senti che ciò che ti porti dietro ha una valore, un sentimento, un pensiero, una parola.
Il pensiero del mio corpo divenne per me uno di quei stratagemmi che ti devi inventare per eccitare quell’egoistica sofferenza che ti chiude sempre più nella sacra cripta del tuo stupido orgoglio.
Scrivevo quindi ogni suo pensiero e lo scrivevo in tanti piccoli fogliettini, ma nella notte, piano piano, il sentimento nostalgico diventava sempre meno cosciente e a poco a poco scompariva per lasciare il posto a quell’unico spazio veramente segreto, che solo io potevo conoscere: l’animo oscuro.
Chiudevo le porte e le finestre, mi incamminavo verso la tastiera di un computer e lì la vita spariva lasciando il posto ad un vuoto impegnato.
Digitavo parole su parole descrivendo così i segni appassionati del risveglio della mia anima. Scrivevo in terza persona perché la prima si era smarrita sulla luce del giorno. Il mio corpo brancolava nel buio e inutilmente cercava qualcosa di nuovo, qualcosa su cui appoggiarsi. Il muro delle mie preoccupazioni quotidiane si frantumava e le ore della mia esistenza si disperdevano, prive d’intima unione.
La mia mente invece era in uno stato di idillio e scrivevo un breve racconto o un poema epico romantico o una serie di poesie. Di certo mi sentivo più sola che mai, ma in quel cruccio c’era un sottile piacere, la fierezza di fare qualcosa di non comune, di servire quasi una divinità ignorata. Leggevo ciò che scrivevo e allora, finalmente, eccola l’emozione; l’inadeguatezza del giorno lasciava il posto a me che provavo le stesse pene d’amore dei miei eroi, arrossivo rileggendo le loro parole, il mio cuore accelerava i suoi battiti per ogni loro gesto e i miei occhi brillavano così… a vederli vivi, i miei eroi.
Provavo, per qualche impulso interno, delle sensazioni che si slegavano dal solito stato d’indifferenza del quotidiano vivere. Non erano solo reazioni encefaliche, era ciò che chiamiamo carattere, anima, tutto il contrario insomma del casuale, del fortuito o dell’involontario.
Io lo sapevo che un giorno gli eroi mi avrebbero rapito, mi avrebbero portato nel loro mondo senza che mi venisse mai concessa una scelta, perché il senso della stessa scelta stava nella loro semplice e spontanea esistenza. Alcuni erano ricordi, altre fervide fantasie, ma ciò che importava veramente era il loro vivere che invadeva lo spazio intorno, mutando del tutto la realtà.
Le parole, tutto questo, non riuscivano a narrarlo, vi era qualcosa nella loro presenza di assolutamente muto, come un groppo alla gola, come un’idea appena percettibile e, se proprio si volesse a tutti i costi esprimerlo, era come guardare attraverso una lente d’ingrandimento da cui non solo tutto appare più evidente ma si scorgono anche cose che nella realtà, così come la vediamo, non esistono affatto.
In questi momenti oscuri anche le serrature di tutte le porte di casa attraverso cui passavo si chiudevano automaticamente e, solo in lontananza, oltre i muri, le ombre dell’oscurità montavano di guardia impedendo il passaggio dell’umano sentire. Dal giardino fuori, di fronte alla finestra, volteggiava una foglia, il buio sembrava scansarsi ed arretrare per portarsi avanti sfacciato e subito dopo interrarsi, stabile e fisso come un muro. Era un mondo a sé, quel muro; era atterrato sulla terra cancellando ogni traccia dell’umano vivere.
Ogni tanto, conquistata dal terrore, chiedevo al mio corpo di muoversi, di alzarsi, di dirigersi fuori, respirando cercavo un contatto umano che potesse testimoniare in qualche modo la mia presenza terrena, ma la foglia era sempre lì e la luna, sempre lì, la stessa, che giaceva immobile. Per un po’ i miei pensieri tacevano dando spazio ad altri sensi: un motorino lontano, una risata di donna e l’odore dell’erba bagnata. Tutto questo accade o era già accaduto o ancora dovrà accadere da qualche parte? In quel mondo in cui tutto sarebbe dovuto mutare, nulla mai cambiava veramente; la vita era troppo impegnata a cogliere ogni singolo giorno, lasciando a me la notte e i suoi pensieri.
Impossibile dire che cosa accadeva; era come l’ombra che il tormento proietta dinnanzi a sé. Un’ombra organica, una gestazione concentrata su un unico punto, lancinante… E d’altra parte è un niente, una sensazione cupa e indefinita, una spossatezza, una paura spezzata in tanti piccoli fogliettini.
Se la terza persona, che sia singolare o plurale, oltrepassa la soglia, non solo è controversa – irriconoscente del verso in entrata o in uscita, bensì è orientata dal principio del terzo escluso.
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Mmmmm, però! 😉
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Che dire? Anche io mi ritrovo a scrivere spesso di pensieri e riflessioni, pensieri a volte distratti a volte concreti, a volte si materializzano delle poesie, o dette tali, a volte semplici articoli di un blog. Nel blog collegato a questo nickname solo poesie, non scrivo altro perché tendo a isolarmi, a essere riservato oltre ogni limite. Da un’altra parte, con altro nickname mi lascio andare appena un po’ di più, più o meno come hai fatto tu qui sopra, escono fuori anche da me foglietti sparsi su un desktop/blog che parlano dei miei stati d’animo, delle mie paure, di qualche piccola gioia. E mi sento meno solo anche se so di parlare con me stesso perché sono pochi, pochissimi quelli che leggono e non voglio neanche che aumentino altrimenti non avrei impostato quel blog come chiuso. Ma chi vuole può bussare e entrare, magari non ci capisce nulla ma trova me e i miei “contorcimenti”. 😀
Forse abbiamo questo in comune, il desiderio di esprimere qualcosa di materiale per far uscire fuori l’animo oscuro e cercare una luce. Io a volte la intravvedo ma l’incertezza del futuro mi fa ripiombare nel buio. Non lo , scrivo anche adesso a casaccio, come ogni volta che scrivo dei miei pensieri o scrivo qualche poesia. Penso che però quando si scrive così è come stare seduti sul divanetto del terapeuta e si scava, si scava, si scava. Quello che esce è realtà, è quello che c’è dentro di noi, sono cose che pensiamo veramente ma sono seppellite in fondo all’anima. Quindi credo che facciamo auto-terapia. Chissà… che cosa complessa che è l’animo umano!
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Grazie, per esserti fermato, per avermi capito e per essermi stato vicino condividendo con me.
A presto 🙂
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Una storia ristretta in tanti piccoli fogliettini, ovvero una miriade di istanti sospesi in una nebulosa dall’esistenzialismo quasi stabile…
Molto bello dall’inizio alla fine…
Complimenti…..
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I pensieri sono così: piccole stelle sbiadite che cercano uno spazio nel grande spazio della propria mente. A volte quest’ultima è così luminosa da oscurarle,ma altre è buia e fa ardere queste piccole luci così intensamente,che necessariamente bisogna esternarle in qualche modo.
Anche il gesto più banale,come quello di scrivere una piccola frase in un momento della propria giornata, può rivelarsi importante. Dopotutto è ciò che pensiamo che ci rende le persone che siamo, che esprime la nostra interiorità.
Dentro di noi i pensieri sembrano ombre enormi,ma quando poi li esterniamo (anche solo mettendoli su carta),in realtà scopriamo che sono solo piccoli fantasmini.
Ecco,il tuo articolo mi ha ispirata questo pensiero 🙂 Davvero complimenti! Un’Introspezione con la i maiuscola!
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Mi piace l’idea dei piccoli fantasmini…grazie e ciao 🙂
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grazie a te,buona serata 🙂
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alla fine tu ti immedisimavi nei personaggi e noi ci siamo immedisimati in te, in questo racconto. O almeno parlo per me e mi sembrava di leggere certe pagine di Pavese in “la luna e i falò”. Ti è scappato un “quei stratagemmi”, ma è venuto il dubbio anche a me e non vorrei passare per idiota.
ciao
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No, ma figurati anzi… Pavese poi è uno dei miei autori preferiti 🙂
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quindi tirando in ballo Pavese non sono andato troppo lontano 🙂
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No, mai troppo lontano 😉
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L’articolo evidenzia, ancora una volta, la sensibilità del tuo animo poetico.
Sul tema vorrei segnalarti una mia, breve ,composizione pubblicata nel blog, col titolo ” Ai poeti”
Un saluto
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La leggerò con piacere, grazie 🙂
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Mi piace la versatilità con cui passi dalla poesia alla prosa con apparente facilità, e un po’ ti invidio questa capacità, che vorrei possedere ma non ho, d’altra bisogna imparare ad accettare i propri limiti, che peraltro mi rendo conto di non conoscere ancora.
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Mi capita solamente di scrivere 😉
Grazie per il complimento e grazie per tutte le volte che mi vieni a trovare.
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Devi ringraziare la tua scrittura, non me 🙂
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Questi foglietti sono lenti del ingrandimento estremamente nitide e sensibili sulla tua più intima essenza ed esistenza
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Correggo : di ingrandimento
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scrivere … è un gran mistero
si parla in silenzio (ma con chi?) di realtà intangibili, dando vita a sensazioni o stati d’animo veri.
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i pensieri, le emozioni … dove si nascondono? come nascono? come fare a “governarli”?
scriverli su tanti piccoli fogliettini … li rende più veri? più forti? più nostri? più reali della realtà?
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Be, le domande che proponi sono veramente molto impegnative e le risposte dovrebbero esserlo altrettanto.
Forse è il caso di ritornarci sopra in qualche altra occasione per scambiarci i punti di vista.
Per adesso vorrei regalarti una riflessione che mi piace molto .
E’ di un fine poeta futurista : Ardengo Soffici che scriveva :
” Basta guardarsi intorno
e scrivere come si sogna
Per rianimare il volto della nostra gioia ”
Ciao, a presto !
Isidoro
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la mente … l’anima … il tempo … l’esistenza … il senso
chi siamo? cosa ci facciamo qui?
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scusami, leggendo il tuo magnifico post mi sono lasciato travolgere da una miriade di domande. ho scritto qualcosa qui sopra ma forse non era il luogo più adatto … cancella pure senza problemi se lo ritieni necessario.
in ogni caso, GRAZIE per le tue sempre bellissime parole
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Io non cancello mai niente! Puoi scrivere sempre qui quando e quanto vuoi.
Ciao e buona giornata!
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beh, allora grazie.
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trovare ancora il piacere di leggere… .
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Sono poi arrivati gli eroi a rapirti? Io penso di si… buona notte
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Certamente! 😉
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Mi piace il tuo stile quando fai affiorare i ricordi, quando catturi immagini quotidiane. La nonna che stira qui, tu che fumi sulla porta nei versi in cui ti rivolgi alla luna. Il mio umile consiglio è che devi lavorare di più su queste immagini e lasciar perdere il banale. Cerca i luoghi della tua infanzia, i ricordi, le piccole cose di tutti i giorni…non scomodiamo le altezze…quelle non appartengono neppure ai grandi!
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Grazie, apprezzo molto i consigli, soprattutto quando sono assolutamente gratuiti e, come dire, ben guidati.
Sono contenta che abbia tu abbia letto qualcosa di mio e ti invito, se ti va, a venirmi a trovare più spesso 😉
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